Capri Diem

Faraglioni – Giganti di Pietra

Nati 200mila anni fa, con il passare del tempo, si sono modellati sia per lo sprofondamento della costa carsica-dolomitica sovrastante, dovuto a eventi tellurici, che per l’azione di erosione delle acque piovane, dei venti e della forza modellante del mare.

Il termine Faraglione deriva dal greco Faleriones (scogli bianchi di schiuma) o dal latino Pharus, dal momento che su queste alte rocce nel mare s’accendevano fuochi per orientare la rotta delle navi e per evitare incidenti.

Il Faraglione di Terra detto Stella (unito ancora alla terra da un istmo di 4 metri) è alto 109 metri. Distante 8 metri, troviamo il Faraglione di Mezzo, alto 81 metri, famoso anche per l’arco, che fa da sottopassaggio, lungo 56 metri e alto 15 metri detto anche dai marinai “Arco dell’Amore”.

Il Faraglione di Mare, detto Scopolo, è alto 104 metri e la distanza di 8 metri che lo divide dal Faraglione di Mezzo viene chiamata Saetta. Sulla sommità di Scopolo vive ancora la Lucertola Azzurra (Lacerta Coerula Faraglionensis).

I Faraglioni, definiti dal il poeta cileno Pablo Neruda “Sentinelle di Capri”, hanno fatto nascere, nel corso dei secoli, numerose leggende sulla loro nascita. Il mito ci narra che la lotta e l’amore dei giganti Sebeto e Vesevo per un splendida fanciulla, di nome Leucopetra, creò queste meraviglie della natura.

Ma è nell’interpretazione romantica delle gesta omeriche di Ulisse che troviamo la più fantasiosa versione della loro nascita. Il pittore tedesco Frederich Preller ( le sue 16 litografie acquarellate si possono ammirare nella Sala Consiliare del Comune di Capri) ci narra con le sue opere le gesta di Ulisse in scenari capresi.

Ci raffigura Polifemo, che vive nella Grotta della Paglia, adiacente l’Arco Naturale, accecato da Ulisse e dai suoi compagni. Così, il gigante pazzo d’ira e di dolore, li insegue e scaglia tre grossi macigni di pietra ( i Faraglioni) contro le loro navi in fuga.

A testimonianza di questa storia scopriamo che nella toponomastica isolana la stradina che porta da Tragara al Belvedere del Pizzo Lungo, alto sperone di roccia che i pittori tedeschi ricordano come Dito o Sperone del Gigante, viene indicata ancora come Via Polifemo.

a cura di Renato Esposito

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