Il 14 maggio cade il giorno in cui a Capri si festeggia il Santo Patrono Costanzo, sotto la cui protezione, la popolazione ha per quasi mille anni resistito al flagello delle continue scorrerie di Saraceni, pirati e corsari Ottomani.
In realtà su Costanzo sappiamo solo che era un vescovo vissuto nel VII secolo, passato per Capri durante la sua opera di evangelizzazione, che gli piacque l’isola, ci restò e vi morì.
Attorno alla sua figura si era già creato un culto allorquando compì il suo unico miracolo attestato: correva l’anno 991 d.C e già da quasi due secoli il Mediterraneo era vessato dalle continue scorrerie saracene. Il capo musulmano Boalim, partito dalla Sicilia, dopo aver depredato la Calabria era diretto verso la costa della Campania. Il Ducato di Amalfi, (di cui Capri faceva parte), inviò messaggeri per cercare di risolvere le cose diplomaticamente, ma Boalim non era interessato a compromessi: saccheggiò prima Maiori e poi Minori, profanando altari e reliquie, e facendo gran bottino. Il duca di Amalfi Mansone III per cercare di calmare la sua furia, gli mandò cibi e vivande, ma Boalim di tutta risposta razziò anche Positano. Giunti però nei pressi di Laurito, i suoi uomini furono scacciati dagli abitanti a botte di pietre in fronte e dovettero rientrare in mare. Quindi si portarono alle isole de Li Galli dove saccheggiano e profanarono il monastero ivi presente,  per poi portarsi al largo di Castellammare. Qui, Boalim venne a sapere che in città era presente un contingente militare è un attacco sarebbe stato pericoloso. Anche Napoli era troppo ben difesa. Decise allora di salpare alla volta di Ischia, ma durante l’assedio venne sconfitto subendo molte perdite. A quel punto, col cuore d’ira e desideroso di vendetta, si diresse verso Capri. Ma quando la popolazione era già in preda al panico, ecco che apparve Costanzo, il quale provocò una tempesta terribile che disperse le navi di Boalim presso le coste della Lucania e salvò  l’isola.

Un solo miracolo dunque, ma al loro Patrono i capresi si sono sempre rivolti per i più disparati favori. Prova ne sono: i tanti ex voto per grazia ricevuta che riempiono la bacheca del Santo; la presenza di una miniatura della sua argentea statua pressoché in tutte le case; la gran quantità di persone che si chiamano Costanzo/a; e l’entusiasmo che ogni anno accompagna i preparativi per la sua processione.
Già nei giorni precedenti c’è fermento nell’aria con l’allestimento delle luminarie, le supervisioni dei “mastri di festa”, l’arrivo delle bancarelle e infine quello della banda che, come sbarca, si lascia andare  a un’allegra suonata per tutta la Marina.
Poi, il fatidico giorno, puntuale alle ore 18:00, con la Piazzetta gremita ad attenderlo, finalmente fa capolino lui. Bello, maestoso, circondato di anturium.
Comincia un frastuono meravigliosamente assordante tra botti di fuochi d’artificio e l’incessante scampanellio del campanile, mentre San Costanzo scende ondeggiando per le scale della chiesa e il sole ne fa brillare l’argento. Tra sorrisi e segni della croce, la banda inizia a suonare e una lunga processione prende la strada che mena alla Marina Grande.
Intanto al Porto una gran folla attende il santo. Dai balconi piovono petali di ginestre, i fuochi d’artificio riprendono a tuonare e dopo una preghiera in darsena, la processione si avvia finalmente alla sua conclusione nella Chiesa di San Costanzo, dove la statua del santo resterà una decina di giorni prima che una seconda processione la riporti a quella di Santo Stefano.

Si potrebbe far notare che tutte le processioni sono belle, raccontano la cultura di un paese e hanno spesso la capacità di suscitare emozioni particolari.
Ma a parere dello scrivente, San Costanzo suscita un’allegria particolare: sarà il clima primaverile, la stagione turistica che finalmente entra nel vivo, la musica, la processione quasi tutta in discesa che non stanca anziani e bambini… ma insomma c’è veramente qualcosa di speciale!
Soprattutto la tradizione vuole che dal giorno dopo la processione, comincia ufficialmente la stagione dei bagni!

a cura di Antonio De Gregorio

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